venerdì 8 novembre 2013

Giancarlo o Kevin

Sabato 14 dicembre 2013 alle 16.30 EDEL 

fa tappa a Cotignola alla scuola Arti e Mestieri
















E' uscito in questi giorni il primo numero della rivista EDEL, semestrale di pratica cristallina - un manifesto per il contemporaneo, a cura di Roberta Bertozzi


Per la rivista ho scritto un testo a partire dal monotipo fatto dallo scultore Francesco Bocchini, scritto che di seguito pubblico in una prima versione integrale, più lunga e diversa da quella che compare nel manifesto


EDEL sarà presentato in anteprima, domenica 17 novembre 2013, 

presso il parco tematico di Artexplora, a Santa Lucia di Cesena


http://www.artexplora.it/



Francesco Bocchini / Scimmia / 2013 / monotipo



GIANCARLO O KEVIN, LA SCIMMIA TARDOPROTOFUTURISTA

Se c'è una cosa che proprio mi dà fastidio, forse, è quella di scrivere un manifesto del contemporaneo, non che se ne facciano tutti i giorni, è che non ne sento la necessità e allora, solo a provare a pensarci mi perdo e non so da dove cominciare, ed è come se mi mancasse un centro o un bersaglio o una spinta iniziale, qualcosa che faccia da limite o gabbia tanto per intenderci. E non è mica una roba urgente mi dico, almeno quanto per una scimmia l'avere bisogno di una giacca o una camicia stirata. Sì, gliela puoi mettere addosso e farci pure una foto insieme come si usava da bambini, ma è sempre una cosa triste, per la scimmia certo, ma anche per te che sei nella foto e pure per chi te la fa (ma loro non si vedono e potranno sempre accampare vaghe scuse dettate dall'amore); insomma una roba che non si dovrebbe fare mai, sia vestirla che scriverlo, suggerendo implicitamente, in quest'ultimo caso, agli altri e al mondo, come si fa o si potrebbe. 
Che la scimmia poi diventa subito, grazie a questa condizione potenzialmente divertente e buffa e cretin-colonialista, più intelligente e sensibile di te, ci mette un attimo; e tu invece pensi, quando da grande riguardi la foto, che i tuoi genitori, un po', per un momento almeno, ti pensavano praticamente stupido o ebete come o più della poveretta vestita simil-domatore-portiere d'albergo, quasi sempre in livrea rossoverde, incomprensibile e misterioso omaggio all'alchimia e corte ferrarese.
Che poi la scimmia ha un cervello piccolo e le sue primitive unità neuronali che lo compongono sono ancora disgregate e fluttuanti e quasi senza sinapsi, e si vede che sono in uno stadio pre-organizzazione come quando ci si incontra e raduna in una piazza e non si sa ancora bene cosa fare o dove andare, e stanno, queste cellule nervose un po' indecise, una vicina all'altra come si poteva stare in un villaggio paleolitico che di notte si accende un fuoco perché ci sono i lupi e altre bestie feroci, o come fanno i pinguini che quando covano stanno l'uno attaccato all'altro per proteggersi dal freddo. Eppure questo è un brulicante cervello a tutti gli effetti, capace di promesse e avvenire, o di movimento almeno, e scariche elettriche degne di un campo magnetico di Tesla si disperdono sfrigolando nell'aria, e serie intermittenti di comandi e impulsi partono insieme a sottili e oscure volontà di miglioramento e progresso. Non a caso, la forma evoluta sopracitata, si estende alle mani e ai piedi, che è lì che si decide tutto, e poi al cuore naturalmente, che è più grande del cervello e questo lascia solo presagire cose buone, oppure non è un cuore ma uno stomaco ruminante che impedisce quindi la velocità e tutto, purtroppo, si rallenta un po' o, piuttosto, si tratta di un monopolmone con dentro un'insospettabile vita, incredibile e segreta città-sistema di api o formiche o altri esserini che preparano la conquista. Che il mondo è degli insetti, dei microbi e batteri.
La scimmia, perché ormai è chiaro che è di lei che parliamo e non ha più molto senso nascondersi, ha un cravattino tipo quelli del vecchio west, ma potrebbero essere anche i due cordoni elastici che penzolano dalle felpe col cappuccio, e se è così, sono stati allora ciucciati e insalivati per bene, ed è per quello che adesso hanno quelle curve spigolose e andamento a zig zag e questo ci spinge a pensare non tanto o non solo ad una nostalgia di regressione, ma uno stadio infantile latente bisognoso di allattamento; oppure è l'ossatura e dentatura che ancora devono modificarsi e formarsi pienamente, classico serpente che si mangia la coda. 
Comunque sia, da qui parte un collare vaporoso e inamidato come quello dei regnanti nei quadri di Velazquez, di quelli che ti fanno senza collo, e sotto, c'è un braccio, il sinistro, anzi due, che azzardano gomitesche e pieghevoli curve, sensuali morbide eleganti, e all'estremità, queste braccia rotatorie come treni futuristi, non terminano con il cerchietto vitale di puntini in sommossa da microscopio visto prima, ma sfoggiano mani, con dita ben fatte anche, ma non ancora o non più il pollice opponibile. E queste braccia sono coperte da una giacca, cazzo, e sulla spalla c'è pure un lustrino che potrebbe essere quello della polaroid ricordo di prima fatta a Fiabilandia, o è quello invece di un borioso e tronfio militare di un disegno di Grosz a cui è stato strappato, con irriverenza scimmiesca punk, il simbolo di potere. Ora, anarchico trofeo a tutti gli effetti.
C'è anche una coda protostoricaesoscheletricameccanica, che fa il paio con una seconda coda topesca, sinuosa insidiosa ammaestrata. La prima coda, quella protostorica, continua come cresta sul cranio scoperto che, se devo dire una cosa, se non di futuro almeno d'attualità, somiglia alla pettinatura di alcuni calciatori moderni come Hamsik o El Shaarawy; ma questa digressione, me ne rendo conto, non è che mi ha fatto fare grandi passi in avanti anche se, a guardare bene, da questa cresta a scaglie o lamine partono dei collegamenti binari che si congiungono al cervello e allora, si capisce bene, la pettinatura non è poi così gratuita, probabilmente. E sotto al cervello - tutto è un po' trasparente, ovunque, come in uno scheletro o radiografia - c'è un sistema auricolare, quello sì avanzatissimo, con tre canali e a vedersi sembra il reticolo delle casse e sicuramente capta frequenze a noi sconosciute e credo anche possa diffondere musica dall'interno all'esterno, alla faccia dei giovani che non comunicano eccetera. 
Vale la pena riprendere, a questo punto, il discorso sulla struttura, sul modo in cui è costruita questa figura di uomo scimmia che è tutta articolazioni e congiunture e snodi e, dovendo in qualche modo parlare di futuro, la faccenda si complica, perché tutto è non finito e incerto, e allora si è come indecisi se buttarsi a ritroso nel passato tentando di fare gli archeologi che mettono insieme i pezzi e saldano le fratture e le parti mancanti con una narrazione che cerca di avvicinarsi allo sguardo più completo e ramificato e profondo possibile (che allo stesso tempo bisogna stare attenti, mica il racconto deve essere chiuso del tutto, sennò perdiamo il mistero, la domanda aperta e la ferita che arriva dal passato, e in quel caso non servirebbero più gli archeologi e gli antropologi e gli storici e un sacco di altre persone e professioni affascinanti e sarebbe di certo un gran peccato). Oppure, se giochiamo ai tardoprotofuturisti e lo vediamo e pensiamo ancora come essere da completare, aspettante innesti ingranaggi meccanismi e tessuti organici e biologici, e scintille e scoppi e scariche e reazioni chimiche, mica parliamo di un'immagine vergine o di una nuova possibilità, che sia rivestito hi-tech o di vetroresina o cartapesta, diventa una specie di cugino scemo di Lou Reed nel video dove lui robot-cyborg si cava la pelle e i muscoli e i tessuti tutti.
Insomma l'antropomorfo ci frega ancora e siamo, non c'è verso, con tutti e due i piedi sprofondati nel passato, arriviamo agli anni 80. Al massimo.  
Quindi parliamo del presente che quello ci viene meglio ed è molto meno impegnativo perché tutto galleggia e si sposta e affiora in una deriva lenta e stagnante e noi possiamo prendere in prestito tutto quello che ci va e cattura e chiama, come in un grande supermercato raffaellesco delle immagini esplose e possibilità postmoderne a pezzettini. Che può sembrare facile ma non lo è. Che può anche sembrare drammatico e forse lo è. Ma qui risiede la vera e più efficace arma (l'unica rimasta forse) per tentare di stanare la bestia, l'immagine ancora capace di fare male e sfamare e guarire; dove noi certo riconosciamo parti di essa, echi, somiglianze e sirene, ma dove l'insieme è qualcosa di nuovo o indefinibile e che non possiamo ancora, per fortuna, dire. Capace di portaci via. Ecco, la capacità di selezione e lo sguardo combinatorio sono quello che mi interessa, questa possibilità di nuove congiunzioni e collegamenti e stratificazioni e sovrapposizioni e scavi ancora, che danno vita ad una forma sconosciuta, mescolata ibrida bastarda barbara, una roba che sta tra il collage e l'atteggiamento onnivoro cannibale del dj. Un tentativo arbitrario di mettere ordine o di creare una mappa per quanto parziale, artigianale o ossessiva. Un altro punto di vista.
E allora i suoi occhi sono di mosca e vedono in modi per noi impensabili inimmaginabili e multipli, e il naso che da lì parte e si collega con la guancia e lo zigomo è quello delle Demoiselle d'Avignon e quindi della scultura africana, la bocca invece no, ma mica si può e deve descrivere tutto e sempre. La barbetta quasi sumera pettinata per scherzo da un pasticcere derviscio. Non cammina, difficile immaginare un suo deambulare, movimenti quasi spastici come quelli di certi corpi faticosi di Bacon.
E poi dentro lei si muove tutto e si sposta ed entra in collisione e attrito e solitudini come in una grande geografia o continente dai confini incerti, ed è una specie di caos organizzato o efficace e sorprendente architettura superprecaria, dove la compiutezza del corpo non si è ancora raggiunta, o si è perduta chissà perché e quando... L'incastro giusto, l'equilibrio e cooperazione delle parti, la macchina perfetta del corpo umano alla Superquark, e le linee e i tratti e i puntini e i tratteggi e i segmenti che la delineano e costruiscono, ci provano a tenere insieme la forma, come saldata e congiunta e capace di spostamenti all'unisono e coordinati, ma si muovono a loro volta e spostano e sbielllano e vanno alla deriva dentro questo grande corpo fiume africano cigolante e rugginoso.
E vicino alla bocca, ancora da dentro a fuori e dall'insieme al dettaglio, la stessa spalluccia lustrino di prima che ora diventa parte di un sistema digestivo orale - stranissimo esofago - che si collega giù ad un orifizio malamente nascosto dalla mano. Oppure questo labirinto è il luogo dove nascono linguaggio e parole e la voce esce dalla bocca cambiata e grottesca e spaventosa come attraverso una caverna o maschera di teatro amplificante, o trucco di sciamano. O la voce acquista, in alternativa spiazzante e abbastanza difficile da comprendere, il suono di tromba con sordina.
Allora la nostra scimmia uomo è stata finalmente descritta e imprigionata, come definitivamente e irrimediabilmente scomposta, spezzata, prossima al crollo e rottura, rumorosa. Eppure adesso sembra accennare ad un  potenziale movimento tecnologico che la ricompone come in un gioco transformer dei bambini, asso nella manica, colpo di teatro capace di chiuderla nella forma perfetta inattaccabile e serrata dell'uovo, gigantesca cellula. Ma prima, un ultimo, piccolo e preciso rutto.
Ladies and gentleman, Giancarlo l'uomo scimmia... o Kevin se preferite.
Ingoia nocciolinefarmacicaramelledroghesassolinimollichedipane.
È un fossile, un residuo d'altre epoche, è fatto di stampi e pezzi e mancanze, relitti e avanzi di un mondo perduto, ricomposti di e in nuovi significati. Uno sberleffo contro il presente schiacciante, attivante connessioni di spazio e tempo, capace di ridare senso. E che ti viene a trovare di notte come un incubo. 
Venite, venite bambini a fare una foto, non abbiate paura!

Massimiliano Fabbri