Sala Pamphili, Complesso degli Agostiniani, Rimini
23 aprile - 10 luglio 2016
A cura di Claudia Collina e Massimo Pulini
IBC Istituto per i beni artistici e naturali della regione Emilia-Romagna
BIENNALE DISEGNO
Memoria vegetale (impronte e innesti)
2015
Ramificare il pensiero (nature e venature)
2016
Memoria vegetale. Crescita mondo giardino foresta notte
2015-16
Scrivere il tempo segnare intorno
2016
Mappe e labirinti. Tu, mia faccia o foglia o strato
2015-16
http://ibc.regione.emilia-romagna.it
Forse il primo carattere che emerge dallo stile di Massimiliano è la marcatura del segno.
L’immanenza
di Massimiliano
Massimo
Pulini
Nei
centri storici di quelle città che ebbero un importante ruolo tra
il tardo medioevo e la prima stagione dell’umanesimo, da qualche
decennio si è sviluppata una intensa e singolare attività di
indagine archeologica. Molti dei palazzi e delle corti benestanti di
quel tempo disponevano di un luogo deputato a discarica privata dove,
assieme ai rifiuti di cibo e di corpo, si gettavano utensili smessi,
oggetti e cocci del vasellame che andava rotto nell’uso. Sicché
quel che allora era un pozzo nero, una latrina nascosta e
maleodorante, ora si presenta come un giacimento di reperti che ci
parlano della vita quotidiana di un preciso momento storico.
La
stessa parola giacimento, che noi usiamo come sinonimo di
miniera e di patrimonio da conservare e valorizzare,
viene in realtà dal latino jacère: che significa “essere
gettato”.
Questo
il volubile destino dell’uomo e dell’arte, come un ricordo
nascosto, un bene può tornare ad essere una risorsa anche dopo che
si è rifiutato.
Ho
sempre associato l’intensa e generosa ricerca di Massimiliano
Fabbri a una singolare indagine sul giacimento che è
seppellito sotto la crosta cranica, su quell’abisso del cervello
umano nel quale la quotidianità getta i sedimenti di immagine, di
volti e di cose che ci passano davanti agli occhi.
La
stratificazione è una costante nel suo lavoro, giunge a
sedimentare, una sull’altra, forme diverse che spesso si dispongono
in sequenza di piani, quasi tentassero una prospettiva di valori.
Questa scala segnica e tonale, fatta di preminenze e cancellature,
questa gradazione attribuita alle immagini chiamate a raccolta,
costruisce una catasta di ricordi e di percezioni.
Affiorano
visi frontali, piante e fiori, animali e minerali, come governati da
una urgenza di catalogazione affettiva, individuale, ma queste grandi
tavole sinottiche che parlano dei tre regni terrestri sembrano
comporre, ai miei occhi, un immenso cervello, un infinito labirinto
enciclopedico.
Forse il primo carattere che emerge dallo stile di Massimiliano è la marcatura del segno.
Un
solco deciso e profondo si muove come un vomere nel campo visivo e
ogni volta si incarica di vincere lo strato già composto, gli
appezzamenti cromatici e grafici già ospitati dal supporto nella
precedente fase del lavoro, quasi fossero ondate di pensieri che si
contendono la vivida superficie della nostra mente. La concentrazione
del nostro presente.
Nasce
forse dal bisogno di marcare un senso, un significato, quello che
accompagna le traiettorie della sua ricerca artistica, per questo vi
è necessità di trasformare il segno in solco.
Forse
tutte le arti, visive e non, cercano di corteggiare la memoria per
farle imprimere un ricordo, ma certi disegni, certi dipinti, sembrano
fare di questa vocazione la ragione stessa del proprio carattere.
Anche
quella sistematica frontalità delle forme si pone davanti a noi con
un senso di immanenza.
Ecco,
forse è bene che mi soffermi su questo concetto, perché meglio di
altri, tra quelli che si possono usare sul conto di Massimiliano, mi
sembra che sintetizzi la portata e il programma intrinseco della sua
ricerca artistica.
Associo
a questi disegni e a questi dipinti l’immanenza, per il loro porsi
in modo del tutto antitetico al fin troppo abusato senso di
trascendenza. Mi appaiono frutto di una pratica che prescinde dalla
spiritualità, per elevare la concretezza, per fare della stessa
immagine una cosa fisica, presente e autonoma.
Immanente
deriva dal latino e associa i termini in e maneo,
che indicano il ‘rimanere in quiete’, entro di sé, come a
indicare un atto contenuto e consumato nel soggetto stesso che lo
compie.
Dall’umano
per l’umano, lontano dai retaggi di una devozione rivolta
all’etereo, al divino. Sono opere piantate in terra, radicate e
assertive.
Un
forte ascendente grafico si percepisce anche nella pittura di Fabbri.
Ne
conosco gli esordi e il peso che hanno avuto i disegni aggrovigliati
di Giacometti, le matasse di ferro che costituivano insieme lo
scheletro delle sculture e il tragitto contorto dei pensieri, del
grande artista svizzero.
Poi
l’interesse profondo e sincero di Massimiliano verso ciò che il
mondo sofisticato, e spesso snobistico, dell’arte contemporanea
quasi non considera, verso quella ‘grafica di consumo’ costituita
dal fumetto.
Con
qualche ipocrisia si è di recente cercato il nuovo termine di
graphic novel per tentare un riscatto che era già evidente e
naturale agli occhi di osservatori attenti e obiettivi.
Da
quel tipo di disegno, che ha ancora conservato la voglia di narrare
il mondo, è possibile ricavare linfa di racconto e stimoli di
stile. Anche in questo riferimento si può rintracciare da quale
parte sta l’artista di Cotignola, circa l’antinomia tra
trascendente e immanente, perché la muta poesia dell’arte aulica
in quei ‘disegni corsari’ prende parola, anzi la parola ne è lo
statuto fondante, vocativo. E il portato dialettico, di una pratica
che si lega alla cronaca quanto alla letteratura, rimane anche là
dove non è accompagnata dallo scritto.
Massimiliano
Fabbri innesta quella calcofilia a un colto sedimento di forme e di
immagini che giungono da una stretta relazione con la storia
dell’arte, sia antica che recente, con una attenzione verso
l’iconografia scientifica e antropologica.
Le
grandi mappe che costituiscono l’ultimo lavoro, sorta di erbari
planisferici, sono esemplari in tal senso e dispiegano quello sguardo
sulla natura che, nella pittura parietale dell’antica Roma, veniva
chiamata ‘viridiana’.
Talvolta
la frontalità tassonomica di cui ho parlato attinge dai libri di
botanica o di zoologia, quasi quanto deriva dalla schedatura
criminale, da un aggiornato archivio lombrosiano.
Il
suo stile potente e sottolineato si configura come un atto che, oltre
a restituire un ritratto personale alla forma, ne intende imporre un
nome.
Un
disegno che nomina le cose.