giovedì 3 ottobre 2013

Souvenir Giovanni

Il testo che ho scritto per Giovanni Lanzoni



in occasione di RAM -Trasumanar e organizzar
MAR - Museo d'Arte della Città Ravenna 8-22 settembre 2013
 A cura di Elettra Stamboulis e Mirada

Fotografie di Stefano Pezzi



Giovanni Lanzoni/2013
Contemporary Camping, collage su carta, cm 54x67
La grande fuga, collage su carta, cm 45x62                                                 
Giovanni Lanzoni/2013
Love you Forever, collage su carta, cm 33x45
Gli uomini senza casa, collage su carta


SOUVENIR GIOVANNI

1 - La nostalgia di tutto

All'inizio, o ad un certo punto, spunta fuori una cartolina che promette amore e spiagge e tramonti e barche a vela con bandiere colorate e pali che si muovono e sbattono e tintinnano al vento.
La luce e i colori, la grafica anche, sono quelli degli anni '80, e allora forse questo posto quasi esotico non esiste più, o non Ë mai esistito, una specie di miraggio; così, ecco sabbie mobili e tramonti acidi e scivoli bianchi labirintici come intestini, infinita tortura da cui non si scenderà mai più trappola, girone di un lontano e dimenticato paese dei balocchi. Vatti a fidare delle immagini. E degli echi.
O, più malinconicamente, è stato, e adesso è in abbandono e una natura cambogiana si è ripresa tutto e cresce e avviluppa e copre aggrappandosi attorcigliandosi alle strutture.

2 - Magnum P.I. e la nave dei dannati

E' notte. Non ci sono stelle in cielo. O perlomeno non si vedono.
In un mare cupo neroviola che promette burrasche e tempeste e onde grandi, una barca, e dentro alla barca un'improbabile umanità varia, affascinante e super assortita accozzaglia di freaks che vanno incontro ottimisti, o almeno così sembra, al loro destino. La barca è proprio come ci si immagina debba essere una barca, spoglia, di legnaccio scuro incatramato, solo scafo, niente scritte o nomi o decorazioni o occhi a guidare, un po' piroga, un po' canoa, un po' barca di Caronte sperso tra le nebbie delle valli di Comacchio, come i Mongoli sul Po alla fine della seconda guerra mondiale.
A prua, a fendere e rischiarare l'oscurità, una lanterna oscillante e traballante, dondolante da un'asta, e tremolanti  fiammelle di candele fissate sul bordo, come nel cappello di Van Gogh per dipingere di notte o quelle corone che si mettono in testa per Santa Lucia. Nella bruma e nebbia, passa il funerale del pittore della carne, Tiziano, addio tenebroso, molto più solenne e con candele importanti e ombre clericali.
L'imbarcazione tiene salda la rotta, nessuna vela o motore, che bastano questi fragili e ridicoli lumini e braccia forti di schiavi ai remi; non ci saranno, a venire, calme piatte di vento e febbri tropicali e sete e stalli di giorni interminabili come una maledizione. Per il momento nessun rischio di pellagra, neanche topi; la peste, debellata da un pezzo.
A bordo, in ordine sparso di apparizione.
C'è Magum P.I. vittima ignara di un'agenzia turistica estrema che offre pacchetti costosi ed elitari, oppure rimasto senza lavoro ed ingaggi ed eccolo allora in viaggio in cerca di fortuna, non so dire, il sorriso ancora stampato sulla faccia e i capelli pettinati all'indietro e l'immancabile camicia hawaiana perfettamente stirata. C'è una specie di mamuthones ungherese che spaventa i turchi e li manda via, con addosso decisamente troppo pelo rispetto alla località balneare che li attende o che non li attende più e che si stanno lasciando alle spalle, così potremmo tentare di spiegare i fuochi d'artificio all'orizzonte, non quindi esplosioni, e che salutano in lontananza gli eroi, omaggio e accompagnamento ai ribelli nomadi che salpano. La trafila di Magnum P.I. verrebbe da dire.
Lo sciamano impellicciato, lo stregone, governa il viaggio e calma i venti e legge le ossicine e le viscere e il volo degli uccelli, la sua magia fa sì che tutto vada bene e che i componenti dell'equipaggio lo temano e anche per questo non si uccidano tra loro. Lui tiene in mano uno specchio in cui affiorano le immagini dei morti. Qualcosa in più di una scaramanzia.
Poco vicino a lui, un marinaio, non proprio un lupo di mare, ma il maialino furbo dei tre porcellini, in versione Walt Disney perciò decisamente insidioso e beffardo e con la giusta dose di autorità e arroganza e sicurezza spavalda di sé. Leggiamo un ghigno compiaciuto misto alla sensazione di pericolo che lo pervade e scuote. A lui forse, per usare la formula sbrigativa e codificata dei giornalisti, hanno affidato gli ultimi risparmi i disperati della carretta del mare per pagarsi il viaggio verso una nuova vita. Nel resort CPT.
Ai remi, due schiavi, due neri, non solo perché i più muscolosi probabilmente, alla faccia di Mamma Africa; uno porta un cappello da cinese, l'altro indossa una canottiera sbirilucchina di paillette e specchietti lucenti come la disco-palla funky. C'è poi un nuotatore, in costume, fisico e capelli da comparsa di cinema anni '50, capace, ad occhio, di almeno 4 minuti d'apnea. C'è chi pesca, chi dorme, chi fa l'amore, chi è riverso ubriaco a terra e anche le ultime due cose faticosamente insieme, gambe all'aria e duro sotto le scapole e reni e ginocchia. C'è chi si è portato un gallo maestoso e ci sono i piccioni del samurai killer di Ghost Dog, ma lui non c'è o, aihmè, è ai remi probabilmente. C'è anche chi si butta disperato o cade o viene gettato e annega tanto non se ne accorge nessuno e nel mare pattumiera cimitero ci sono corpi e statue eroiche e navi inabissate e relitti e barili di petrolio galleggianti e legni fradici marci e ruggini e pezzi e mancanze sparse, e c'è anche Fabio Pignatta ma non credo lo conosciate, mica è famoso come Magnup P.I. anche se di certo lo meriterebbe.
Non ci sono casse di terra, quelle no, nessun vampiro a bordo quindi. Forse sono artisti precari avventurieri, una cazzata questa che non vuol dire niente. Una compagnia. L'inganno del teatro. Forse non arriveranno mai a destinazione, novelli cristofori colombi che approderanno e occuperanno il posto sbagliato, uno spiazzo incolto da terzo paesaggio su cui costruire il primo villaggio, avamposto di civiltà o di quello che resta, tentativo ai margini di colonizzazione gentile.

3 - Sul tagliare i capelli e le potenzialità dell'architettura precaria

Un campeggio o un campo nomadi o anche tutti e due insieme indistinguibili, tanto fa lo stesso.
Aggregato sub-urbano, campagna incolta, periferia cementificata, agglomerato cresciuto nascosto come pianta resistente e organismo, adattatosi nel tempo o sbucato un mattino dal nulla, e col tempo capace di acquisire migliorie ed evoluzioni e rampe e soppalchi e tettoie belle e amache per le penniche del pomeriggio e roulotte con le tendine fighe e adesivi di Diego Armando Maradona quando giocava nel Napoli.
C'è anche l'orto con i pomodori e i fiori palla dell'aglio o cardo o carciofo e un po' di vegetazione che fa ombra, ma mai abbastanza, e su di un albero bello una cicogna pure che ha fatto il nido. Da qualche parte, ci saranno cactus e piantine grasse rinsecchite e altre bestie con notevoli capacità di sopravvivenza, la flessibilità baby.
A fianco dell'orto, vicino ad un barbecue, apparentemente lasciato incustodito e da cui esce una nuvola compatta di fumo salsiccesca, c'è un signore seduto a petto nudo con una pianta con un fiore giallo in mano che gli Ë stata appena donata. Ha i baffi e sembra uscito da un film di Kusturica. Una donna alle sue spalle gli taglia i capelli con movimenti perfetti incantati da fotografia spagnola di H. C. Bresson. Le ciocche di capelli cadono con grazia sulle spalle dell'uomo. Calma e tranquillità regnano.
Alle spalle della coppia una roulotte con davanti una rampa che porta ad un soppalco con tettoia e lo dice anche la scritta, tutto Ë molto molto cool, e sul soppalco c'è un fotografo, un reporter alla Blow-Up che scoprirà un giallo e assassinio analizzando e ingrandendo i suoi scatti come nei disegni dell'artista nella villa di Copton House, o magari è solo un fotografo di moda di una rivista patinata che prepara un servizio in cui gioca a far giocare i ricchi, o chi lo vorrebbe essere, a fare i poveri copiando e rubando loro il senso estetico e l'eleganza dettata dalla necessità. A fianco della roulotte la graticola fumante continua ad esalare profumi che riempiono e invadono e impregnano l'aria, e l'orto che abbiamo vista prima, e dietro l'orto fili per i panni stesi ad asciugare e tra i fili un uomo in tuta sportiva e quindi abbastanza pericoloso e appesi lì vicino i costumi di Batman e Robin leggermente sbiaditi al sole e seminascosti e dietro ancora, ma non si vede, il cavallo bianco della Vidal che bruca quel po' di erba gialla che c'è.
Un accampamento precario il giusto, un campeggio economico o abusivo, una riserva indiana per vecchie glorie che non sono o non possono o non vogliono più essere al passo con i tempi, confinate lì, esperimento di nuovi mondi possibili a partire dagli scarti della società, dai reietti e dalle cose che non servono più e si buttano al posto di aggiustarle. Euro camping per zingari felici.

4 - La scena vuota

E alla fine, o all'inizio, o anche a metà di questa quasi storia, una platea, ormai vuota; grande sala da ballo o da preghiera con tappetti tanti e il rosso come colore dominante. Teatro di una festa o convegno predica discorso, il compleanno o matrimonio della figlia del capovillaggio, che era poi quello stiloso a cui tagliavano prima i capelli. La Madonna  appena passata, il fotografo non ce l'ha fatta questa volta. Sedie vuote sparse qua e là, in disordine. Non c'è più nessuno, sono andati tutti via, i più coraggiosi o disperati o incoscienti, sulla barca forse, oppure ognuno dentro le sue roulotte, chi le ha, pronti a partire con le prima luci dell'alba.
Solo Magnum P.I. è rimasto fuori. Tra le mani una birra scadente. Finalmente piange.